IN NOME DI GIANCARLO
l’assassinio Siani
Premio Cinema Democratico 1987
per il miglior soggetto
soggetto cinematografico
di Maurizio Fiume
© giugno 1987 Maurizio Fiume
Non era la prima volta che mettevo piede a Torre Annunziata. Avevo cominciato a scrivere su Il Mattino, quasi per caso, nel 1980. Allora scrivevo articoli per un piccolo periodico napoletano, Il Lavoro nel Sud, e facevo parte dell’Ufficio Stampa della CISL, che pubblicava quel periodico. Ogni volta che c’era da trasmettere comunicati stampa ero io quello che li scriveva; e poi, li consegnavo facendo il giro per tutte le redazioni. Ricordo la prima volta: avevo perfino timore di entrare alla portineria del Mattino: sono sempre stato un po’ timido. Eppure volevo fare il giornalista! Presto divenni talmente pratico che entravo e uscivo dalle redazioni come fossi un dipendente ed entrai in contatto con alcuni giornalisti. Fu così che un giornalista del Mattino mi confidò che Torre Annunziata non era coperta e che, essendo nelle previsioni del giornale l’apertura di una redazione a Castellammare (poco lontano da Torre), se ci provavo potevo cominciare subito a collaborare. Non me lo feci ripetere due volte. Andai dal responsabile della cronaca del Circondario, gli dissi che da due anni scrivevo sul Lavoro nel Sud e che ero da poco diventato pubblicista, e ottenni il suo formale assenso: potevo fare il collaboratore esterno a 30.000 lire a pezzo.
Cominciai a scarpinare per Torre alla ricerca di notizie. Non avevo idea di come si facesse e così cominciai a occuparmi di tutto quanto mi capitava. All’inizio scrivevo subito gli articoli, due o tre al giorno, ma spesso quando li proponevo in redazione a Napoli, mi dicevano che non c’era spazio o che non erano abbastanza interessanti. Decisi allora di cambiare metodo. La mattina arrivavo a Torre verso le nove, dieci, raccoglievo le notizie e poi prima di mezzogiorno telefonavo in redazione: – Vi interessano? – chiedevo. Se la risposta era affermativa scrivevo il pezzo, altrimenti se ce la facevo cercavo qualcos’altro, se no me ne tornavo a casa: ed era una giornata persa!
In questo periodo scrivevo di cronaca spicciola: il trofeo dei minibolidi, incidenti automobilistici o di treni (Torre è attraversata sia dalla Circumvesuviana che dalle FS), droga (spesso anche da Napoli), della proposta di costituzione di una Comunità Terapeutica per tossicodipendenti dal nome emblematico di Zattera, del rischio-Vesuvio, di piromani, sacrestani impazziti e cavalli sgozzati (e relativi numeri al lotto), del progetto di un minicarcere, di scioperi dei lavoratori e altro ancora.
Il 15 marzo 1983 fu inaugurata la redazione di Castellammare. Io collaboravo da troppo poco tempo e così non fui chiamato a far parte, almeno come collaboratore, della nuova struttura, che era composta dal caporedattore e da due, dissero, giovani collaboratori. Anzi per circa un mese fui tagliato fuori: quelli di Castellammare mandavano tanti di quei pezzi che per me non trovavano mai spazio. Ma non mi persi d’animo. Continuai, regolarmente, ogni giorno ad andare a Torre alla ricerca di notizie, finché riuscii, a metà aprile, a far passare di nuovo i miei articoli: ma dovetti cambiar genere. Cominciai a occuparmi prevalentemente di camorra. E fu così che mi presero come collaboratore a Castellammare.
Quel giorno iniziavo per Torre a fare un giro diverso: non più così senza una meta precisa, orecchiando per la strada gli avvenimenti, come avevo fatto fino allora a causa della mia anomala posizione di abusivo (non potevo qualificarmi come giornalista del Mattino), bensì, girando per le istituzioni a nome del mio quotidiano. L’inizio non fu bello. La mia prima tappa dal Comando dei Carabinieri, coincise con la scoperta di un criminale assassinato. Il Capitano Starace volle portarmi con sé e farmi vedere il cadavere al sangue, trucidato in un Alfasud. Dovetti scappare in un bar a vomitare: non avevo mai visto un corpo straziato in quel modo!
In redazione furono tutti comprensivi. Mi trovai subito bene e familiarizzai sia con il Capo che con gli altri due giovani collaboratori, Tonino e Lella. Scoprii che Lella sapeva molte cose su Torre e riuscii a convincerla a istruirmi.
Il Capo mi consigliò di andare a conoscere il giovane corrispondente dell’ANSA. Rimasi sorpreso dalle capacità di analisi di Antonio: non avevo mai pensato che anche lo Stato potesse avere interesse a lasciar proliferare il traffico di droga!
Non fu facile adattarsi al nuovo genere di cronaca. Ebbi la spiacevole sensazione che da quando mi occupavo io di cronaca nera a Torre, non ci fossero altro che omicidi, vendette e summit di clan: fino ad allora non mi ero accorto di quest’aspetto della città. E io continuavo a non capirci granché tra tutte quelle bande, quelle sigle: clan degli Alfieri, clan Gionta, eccetera. Non ne potevo più.
Ero proprio depresso. Quel giorno non ero riuscito a buttar giù neanche una riga: non mi ci raccapezzavo più! Stavo per mollare tutto quando incontrai Lella.
- Ora non mi sfuggi! – mi disse – Mi avevi promesso una cena, ricordi?
Certo che mi ricordavo. Per riuscirle a strappare qualche informazione le avevo promesso di portarla a cena. Fu lei a decidere dove. Comprese, come solo le donne riescono quando vogliono, a capire che qualcosa non andava. Le raccontai tutto intorno al tavolo e lei mi riempì di attenzioni ma anche di consigli e di tutte quelle informazioni che quando ci conoscemmo non volle darmi.
Ma non fu lei a dissuadermi dal mio proposito di piantare tutto.
Mi alzai per andare dall’oste a farmi fare il conto e, preso com’ero dai miei pensieri, mi scontrai con una ragazza bionda che portava al tavolo delle amiche tre gelati.
- Sono mortificato – dissi – glieli ricompro.
Ma mentre l’aiutavo a raccattare le coppe di gelato, mi bloccai a guardarla: aveva qualcosa di familiare! Anche lei mi guardò interrogativa ma nessuno dei due chiese chiarimenti.
Un cameriere ci invitò a lasciar perdere. Le amiche di lei la chiamarono:
- Daniela!
Feci un sorriso e mi congedai, andando verso la cassa. Intanto quel volto e quel nome mi martellavano il cervello. Dove l’avevo già vista?
Lella, stanca di aspettare, si era alzata e venendo verso di me, mi chiamò per nome.
Accompagnai Lella a casa e poi mi avviai verso l’autostrada. Quando una Mini 90 mi raggiunse e mi sbarrò la strada, costringendomi a fermare. Ebbi paura. Ripensai ai timori che Lella mi aveva confessato la prima volta che ci eravamo incontrati. Dall’auto però non scesero brutti ceffi malintenzionati ma una ragazza bionda: era Daniela.
- Ma sei impazzita! Cosa diavolo vuoi? Ho pagato le coppe di gelato.
Ma Daniela, indifferente, mi chiese a bruciapelo se da piccolo andavo a Sorrento in villeggiatura e giravo per la città con una bici rossa.
L’avevo ritrovata: la migliore amica dell’infanzia, Daniela. Quella sera facemmo tardi: ci raccontammo 15 anni di vita. E fu lei a ridarmi coraggio. Da quel giorno seppi che la ragazza della mia vita era lei.
Il problema droga mi aiutò a superare le difficoltà momentanee: potei far ricorso alle mie informazioni accumulate negli anni passati e riparlare del progetto Zattera.
Il mese di agosto del 1984 rinunciai ad andare in vacanza con i miei e quando mi era possibile, facevo un salto a Vico Equense da Daniela. Così potei scrivere più articoli del solito e non mancare a due avvenimenti importanti: l’assalto al vagone postale a S.Maria La Bruna e la strage di S. Alessandro: due episodi nel miglior stile cinematografico.
Fu grazie a questi avvenimenti che il primo settembre fui assunto come collaboratore fisso con uno stipendio mensile di ottocentomila lire. Non ero ancora praticante ma ero sulla buona strada: ce l’avrei fatta!
Volli festeggiare con i miei colleghi, Tonino e Lella, cenando, insieme alla mia Daniela, a Pimonte.
Non potevo deludere chi aveva avuto fiducia in me. Così decisi, soprattutto ora dopo la strage di S. Alessandro, di occuparmi esclusivamente di camorra. Capii che chi comandava a Torre era il boss Valentino Gionta e che tra la famiglia Gionta e il Sindaco c’erano strani legami: qualcuno sospettava addirittura che fossero parenti.
L’impero di Gionta comincia a crollare: il boss viene arrestato, la sua nuova boutique viene chiusa, ma soprattutto finiscono presto in carcere quasi tutti i killer della strage di agosto.
Un nuovo omicidio scuote la città. Un giovane ragazzo, Luigi, viene ucciso mentre con la sua ragazza ritornava a casa.
Lo avevo conosciuto all’Università, era anche lui iscritto a Sociologia. Quando l’ho saputo non volevo crederci. Ho lasciato che ad occuparsene fosse qualcun altro: non sono ancora un incallito professionista!
Luigi é stato ucciso per sbaglio: é stato scambiato, nel buio, per uno spacciatore che doveva essere giustiziato per uno sgarro. Sono disgustato delle solite dichiarazioni d’intenti: so bene che la pratica presto finirà nel dimenticatoio.
Per rigetto per un po’ non mi sono occupato più di camorra e sono ritornato a occuparmi di ambiente.
A Napoli comincia il maxi-processo alla camorra: c’é anche Tortora tra gli imputati. Un settimanale ha pubblicato gli atti del processo: se Tortora é colpevole io sono Raffaele Cutolo!
Ho ripreso a occuparmi di Torre. Oggi é venuta la troupe di Biagi per un servizio per Spot sul dopo-strage. Il Capo mi ha detto di aiutarli. Ho imparato come lavorano alla RAI.
22 Febbraio 1985: da oggi abbiamo un nuovo direttore al Mattino, speriamo che non mi faccia perdere tutte le posizioni che ho faticosamente raggiunto.
Alcuni amministratori locali finiscono nel mirino della Magistratura. Ho sentito parlare anche di un’inchiesta al comune di Torre. Il Capo mi ha chiesto di indagare. Il Pretore non ha voluto rivelarmi il contenuto della relazione dei Carabinieri, vuole che me ne occupi prima io. Il Capo mi ha detto che non se ne fa nulla.
All’Università Popolare il corso di giornalismo che ho organizzato con il prof. Amato Lamberti, procede bene. Oggi sono andato a Paese Sera a prendere Matteo Cosenza (caporedattore a Napoli) per portarlo al Liceo Umberto per una lezione. Matteo voleva sapere perché ogni giorno dal Vomero vado a Torre. Sorridendo ho risposto:
- Visto cosa mi tocca fare per diventare giornalista ed entrare al Mattino.
Maggio 1985. A Torre ci sono le elezioni comunali. Qualcuno dice che la camorra ha fatto votare certi partiti e certi candidati. Si parla di campagne elettorali di centinaia di milioni per cariche onorifiche. L’ex sindaco pare che abbia speso 100 milioni, avuti da un palazzinaro locale.
Amato Lamberti mi ha chiesto di scrivere un articolo per Osservatorio sulla Camorra, un periodico della CISL, sulla camorra a Torre: sono proprio contento di me, ho delineato un quadro molto preciso dei clan a Torre e dell’Impero Gionta. Ho detto a Lamberti che quando mi laureo farò una tesi su Informazione e camorra.
Primo luglio 1985. Incredibile! Mi hanno chiamato alla redazione di Napoli per sostituire i colleghi in ferie: mi hanno detto che, ormai, sono ad un passo dall’assunzione. Finalmente, che fatica: però ce l’ho fatta e senza padrini politici. Ha ragione mio padre: se uno ce la mette tutta può farcela. Però vedere in questi anni, tanti ragazzetti assunti e tante folgoranti carriere, non é stato bello. Tutto é bene quel che finisce bene!
A Napoli il lavoro procede tranquillo. Mi occupo di cronaca spicciola: gli ingorghi, le ferie, il caro-prezzi e il deserto di ferragosto in città, il rientro, la scuola. Ogni tanto chiamo a Castellammare per sapere come va. Sono un po’ disperati senza di me: lo ammetto mi fa piacere! Però continuo a passargli le notizie da Torre, i miei informatori mi chiamano tutti i giorni. Oggi ho anche scritto un bell’articolo su una nonna che mandava a spacciare il nipote dodicenne, e ho scritto perfino un pezzo d’appoggio sui muschilli.
Oggi ho comprato una sveglia nuova: faccio fatica a svegliarmi, ho un po’ di sonno arretrato. Questa sera spero di portare Daniela al concerto di Vasco Rossi al Festival dell’Unità.
Alle 21,35 sono passato per la portineria del Mattino, ho salutato il custode: é finita un’altra giornata. Ho dovuto chiamare Daniela per dirle che stasera non potremo andare al concerto. Le ho promesso che ci andremo domani.
A via Scarlatti ho rallentato per salutare Sergio, un amico che abita nel mio palazzo. A piazza Leonardo Laura voleva che mi fermassi. Le ho gridato:
- Parcheggio un attimo! Risalgo subito!
Imbocco via De Palma, scendo giù. Davanti all’ingresso del mio palazzo, Villa Maio, c’é un posto libero, mi precipito.
- Ua’ che mazzo!
Spengo il motore.
Alle sue spalle due killer gli svuotano i caricatori delle loro pistole.
Ora alla macchina da scrivere di Giancarlo ci sono le dita, curate e sinuose, di una donna.
Chissà se scriverà anche lei la verità di Giancarlo.
F I N E